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Il blog di Mauro Boscarol sulla gestione digitale del colore dal 1998

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Storia della sensazione del colore

2.1.4 Visione e colore secondo Platone

La dottrina platonica
Gli elementi fondamentali e i solidi regolari
La teoria platonica della visione
Il colore secondo Platone
I quattro colori primari di Platone: bianco, nero, rosso, splendente
In breve

Platone

Platone con il Timeo nella Scuola di Atene di Raffaello

Platone (427-347 a.C.) nasce da genitori aristocratici ad Atene. Dopo l’educazione incentrata su ginnastica e musica, incontra Socrate e ne segue l’insegnamento fino alla morte di questi (399 a.C.). Dopo vari viaggi in Egitto e Sicilia, nel 387 a.C. Platone torna ad Atene e fonda una scuola filosofica che chiama Accademia, dal nome del quartiere di Atene dove era collocata, a sua volta così chiamato probabilmente perché ospitava la tomba dell’eroe greco Academo. L’Accademia si afferma subito e richiama giovani e uomini illustri tra i quali Aristotele. Dopo altri due viaggi in Sicilia Platone muore nel corso di un pranzo di nozze ad Atene, lasciando una enorme eredità intellettuale. Dopo l’integrazione del cristianesimo nell’impero romano la scuola di Platone, l’Accademia, diventerà il centro della cultura pagana.

La dottrina platonica

Platone elabora una dottrina delle idee che vivono in un mondo ideale e che sono pure, immutabili, perfette, sempre esistite. Queste idee sono innate in noi e sono la causa che ci permette di conoscere (mediante l’intuizione) le cose del mondo reale (il mondo sensibile della percezione) i cui oggetti fanno capo a una unica idea pura. Per esempio esiste l’idea di “colore” che è innata in noi e con un atto di intuizione colleghiamo il rosso con l’idea di “colore”.

“Qui non entri alcuno che sia digiuno di geometria” stava scritto, secondo la tradizione, sull’ingresso dell’Accademia. Platone ammira e ama la matematica per il suo carattere di certezza deduttiva e in questo è affine a Pitagora. Evita invece (ma ci sono eccezioni) l’osservazione e la registrazione obiettiva dei fenomeni, che è il fondamento della scienza induttiva (e che sarà la base del pensiero di Aristotele). Questo non significa che per Platone l’esperienza non giochi alcun ruolo: per esempio, l’esperienza del rosso ha un ruolo, ma che consiste solo nel “risvegliare” l’idea di colore e nel metterla in relazione con il rosso.

Nel sistema filosofico di Platone esiste un demiurgo, cioè un dio, una entità autonoma al di là del mondo sensibile in cui le nostra realtà trova giustificazione. Dio ha costruito il nostro mondo sensibile guardando alle idee universali e copiandole nella materia. Questo implica che il mondo non è sempre esistito, ma è stato creato e ha avuto un inizio.

La filosofia occidentale è in parte derivata dal pensiero di Platone, ed è ancora in contatto con esso. Il pensiero di Platone verrà reinterpretato in tarda età ellenistica (neoplatonismo) a partire dal III secolo e la filosofia neoplatonica sarà inizialmente l’unica accettata e anzi fatta propria dai padri della chiesa cristiana, tra i quali Origene e Ambrogio. A partire dalla fine del IV secolo il neoplatonismo verrà definitivamente assorbito dal cristianesimo soprattutto attraverso Agostino. Mille anni più tardi, dopo la caduta dell’impero romano d’oriente nel 1453, la diaspora degli intellettuali greci bizantini porterà alla rinascita del neoplatonismo in Italia e in quel contesto verrà fondata a Firenze l’Accademia neoplatonica.

Gli elementi fondamentali e i solidi regolari

Di Platone ci sono pervenuti pressoché tutti gli scritti, che comprendono 34 dialoghi. Uno dei dialoghi che maggiormente ha influito sulla filosofia e sulla scienza posteriori è il Timeo (dal nome di uno dei dialoganti) scritto attorno al 360 a.C. e considerato per molti secoli il principale testo platonico. Nell’affresco La Scuola di Atene dipinto da Raffaello Sanzio nel 1510, Platone regge in mano il suo Timeo (immagine più sopra).

Anche se Platone assegna ai fenomeni un ruolo di scarsa importanza, Timeo è un dialogo che traccia una teoria dei fenomeni dell’universo. Impegnativo e talvolta oscuro, influenzato dal pitagorismo, 1 non è una descrizione ma piuttosto un tentativo di spiegazione dell’universo, ed in questo senso è talvolta considerato un aspetto debole del pensiero platonico. Scrive Singer nella sua Breve storia del pensiero scientifico che

il Timeo dimostra come perfino in Platone la conoscenza possa degradarsi nello sforzo di spiegare l’universo anziché descriverlo.

Dal Timeo (55D6) apprendiamo che Platone accoglie la dottrina dei quattro elementi di Empedocle e associa ad ognuno di essi uno dei solidi regolari (detti da allora platonici) già studiati da Pitagora:

  • al fuoco associa il tetraedro (4 facce triangolari);
  • alla terra associa il cubo (o esaedro, 6 facce quadrate);
  • all’aria associa l’ottaedro (8 facce triangolari);
  • all’acqua associa l’icosaedro (20 facce triangolari).

L’ultimo solido regolare, il dodecaedro (12 facce pentagonali) non è associato a nessun elemento ma è considerato la forma dell’universo. Elaborando questa teoria Platone spiega che le superfici di ognuno di questi solidi sono costituite da triangoli e precisamente da triangoli rettangoli isosceli e/o da triangoli rettangoli scaleni.

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tetraedro, cubo o esaedro, ottaedro, dodecaedro, icosaedro

La teoria platonica della visione

Anche per la visione Platone ha una teoria derivata da quella pitagorica di Empedocle. Secondo Platone la visione ha origine nell’anima, la quale produce all’interno dell’occhio un “fuoco visuale” invisibile che scorre e filtra all’esterno. Questo fuoco incontra nell’aria la luce diurna (che è un altro “fuoco”, simile a quello visuale) e si amalgama con essa (simile con simile) producendo così “un corpo omogeneo” (il cosiddetto “corpo visuale”) che si estende dall’occhio all’oggetto osservato e che agisce da collegamento per trasferire all’occhio e da qui all’anima le informazioni sull’oggetto stesso. Nelle parole di Platone:

Prima di ogni altro organo fabbricarono gli occhi che portano la luce, e  li collocarono nel modo che segue. Di tutto quel fuoco che non può bruciare, ma produce la mite luce propria d’ogni giorno, fecero in modo che diventasse un corpo. Il fuoco puro, che sta dentro di noi ed è della stessa natura di questo fuoco del giorno, lo fecero scorrere liscio e denso attraverso agli occhi, comprimendo tutte le parti, ma specialmente la parte di mezzo degli occhi, in modo che trattenesse tutto quello ch’era più denso e lasciassero passare solo quello puro.
Quando dunque v’è luce diurna intorno alla corrente del fuoco puro della vista, allora il simile incontrandosi col simile e unendosi strettamente con esso costituisce un corpo unico e omogeneo nella direzione degli occhi, in quel punto in cui la luce che sopravviene dal di dentro s’urta con quella che confluisce dal di fuori.
E questo corpo, divenuto tutto sensibile alle stesse impressioni per la somiglianza delle sue parti, se tocca qualche cosa o ne è toccato, ne trasmette i movimenti per tutto il corpo fino all’anima, e produce quella sensazione per cui noi diciamo di vedere.
[Platone Timeo] 45 B2

L’argomento della similitudine, cioè il fatto che il simile attrae il simile, è una costante del pensiero greco classico. Ma qui la novità importante è che per Platone la luce del giorno (che non ha un ruolo esplicito nelle teorie pitagorica e atomistica) è necessaria per la visione. La luce del giorno è simile al fuoco che proviene dall’interno dell’occhio, e incontrandosi con il simile forma il corpo visuale. Il concetto di luce è ripreso nel dialogo Repubblica dove Platone fa dire al proprio maestro Socrate

Ammettiamo che negli occhi abbia sede la vista e che chi la possiede cominci a servirsene, e che in essi si trovi il colore. Ma se non è presente un terzo elemento, che la natura riserva proprio a questo còmpito, tu ti rendi conto che la vista non vedrà nulla e che i colori resteranno invisibili. – Qual è questo elemento di cui parli? – Quello, risposi, che tu chiami luce.
[Platone Repubblica]

Platone è in grado anche di spiegare perché non si vede al buio: in tal caso, non essendoci luce esterna, il fuoco interno rimane imprigionato nell’occhio e apporta il sonno e i sogni:

Ma il fuoco visuale si separa dal suo affine, quando questo scompare nella notte: infatti uscendo fuori incontra il dissimile, e si altera e si estingue, né può connaturarsi con l’aria circostante, perché questa non ha più fuoco. Pertanto l’occhio cessa di vedere e anche chiama il sonno. Perché le palpebre, che gli dèi hanno fabbricate per conservare la vista, chiudendosi, trattengono dentro la forza del fuoco.
[Platone Timeo] 45 D

La teoria della visione di Platone è di tipo psicologico piuttosto che fisico, ed è anche questo che la rende particolarmente complessa e un po’ singolare per l’uomo moderno.

Il colore secondo Platone

Oltre al fuoco visuale (che emana dall’occhio) e al fuoco della luce diurna (emanato dal sole) esiste per Platone un terzo tipo di “fuoco” che emana dall’oggetto osservato, e questa emanazione (o effluvio) dell’oggetto è esattamente il suo colore. La visione non è tuttavia dovuta dall’amalgama di questa emanazione con la emanazione dall’occhio, ma dall’incontro tra l’emanazione dall’oggetto e il corpo visuale già formato. 2 Il passo del Timeo in cui Platone espone questa teoria del colore inizia così:

Ci rimane ancora un quarto genere di sensazioni, che occorre distinguere, perché contiene in sé molte varietà, che complessivamente abbiamo chiamato colori: e questi sono fiamma che esce dai singoli corpi ed ha particelle così proporzionate al fuoco visuale da produrre la sensazione: e del fuoco visuale abbiamo precedentemente spiegato in poche parole le cause che lo producono.
[Platone Timeo] 67 C4

Seguendo la strada che nel Menone attribuisce ad Empedocle (vedi Empedocle: il primo filosofo che ragiona sul colore) il colore è appunto fuoco che emana dagli oggetti, e questa emanazione viene emessa indipendentemente dal fatto che venga percepita da qualcuno. Gli oggetti emanano effluvi sempre, anche se non sono osservati e anche in assenza di luce. Quando invece la luce c’è e l’oggetto viene osservato (quando cioè il “corpo visuale” intercetta gli effluvi dell’oggetto) la superficie esterna di quell’oggetto, cioè il suo colore, viene visto.

Il colore dunque non è percezione, ma è una emanazione fisica, reale, oggettiva. 3

Quale colore viene visto? Per Platone, diversamente da Empedocle che ipotizza siano composti di particelle di acqua e fuoco, gli effluvi sono composti di solo fuoco (tetraedri), anzi di certi tipi di fuoco. Platone distingue infatti diverse varietà di fuoco e la differenza potrebbe essere data dalle diverse dimensioni dei triangoli che compongono le superfici dei tetraedri come Platone afferma esplicitamente per le particelle di acqua nel Timeo stesso. In tal caso il colore di un oggetto potrebbe dipendere dalle dimensioni delle particelle di fuoco degli effluvi dell’oggetto rispetto a quelle del corpo visuale:

  • se sono della stessa dimensione non causano la percezione, e l’oggetto appare trasparente;
  • se le prime sono più piccole delle seconde l’oggetto appare bianco;
  • se le prime sono più grandi delle seconde l’oggetto appare nero.

Nelle parole di Platone:

Ma ora potrebbe essere molto opportuno di svolgere a questo modo l’opinione che sembra più probabile intorno ai colori: le particelle, che si staccano dai corpi e incontrano il fuoco visuale, sono alcune più piccole, altre più grandi, altre infine eguali alle parti di questo fuoco visuale: ora le eguali non generano sensazione e sono dette diafane, ma le maggiori e le minori, quelle che contraggono e queste che dilatano il fuoco visuale, esercitano la stessa azione che sulla carne le sostanze calde e le fredde, e sulla lingua le acerbe e tutte quelle atte a riscaldare, che abbiamo dette piccanti: e le bianche e le nere producono le stesse impressioni di queste cose in un altro genere e per queste cagioni ci sembrano differenti. Così pertanto bisogna chiamarli: bianco [leukos], quello che dilata il fuoco visuale, e nero [melas] il suo contrario.
[Platone Timeo] 67 D

I quattro colori primari di Platone: bianco, nero, rosso, splendente

Un aspetto molto interessante è che per Platone i colori primari non sono solo il bianco e il nero di Empedocle, ma anche il rosso e un quarto colore che già Platone presenta con due sinonimi, lampron e stilbon e che è stato variamente tradotto in italiano come “splendente”, “luccicante”, “brillante, “raggiante”, “fulgido” e in inglese “bright”, “brilliant”, “dazzling”, “sheen”. Per l’intuizione moderna potrebbe essere il colore acromatico di un corpo autoluminoso. Un oggetto di questo colore emette particelle molto più piccole di quelle che generano il bianco e l’occhio ne è così influenzato da produrre lacrime (di fuoco e acqua).

Quando poi un impeto più rapido affluisce da un fuoco di genere diverso e dilata il fuoco visuale fino agli occhi e dividendo a forza i passaggi degli occhi e disciogliendoli ne versa fuori quella mescolanza di fuoco e d’acqua, che chiamiamo lacrime, ed è fuoco quest’impeto e si avanza di contro; quando di questi fuochi l’uno balza fuori come da folgore e l’altro entra dentro e si spegne nell’umidità dell’occhio, e colori di ogni specie nascono in questa confusione, noi quest’affezione la chiamiamo bagliore, e a quello che la produce diamo il nome di splendente [lampron] e di fulgido [stilbon].
[Platone Timeo] 67 E9

Un oggetto rosso invece emette particelle di fuoco di dimensione intermedia tra lo splendente e il bianco:

Ma vi è un genere di fuoco intermedio fra questi, che arriva fino all’umore degli occhi e si mescola con esso, ma non è fulgido, e al raggio di questo fuoco che si mescola attraverso l’umidità e presenta un colore sanguigno, noi diamo il nome rosso [eruthron].
[Platone Timeo] 68 A

Lo splendente e il rosso (diversamente dal bianco e nero) interagiscono non solo con il corpo visuale ma anche con le particelle di fuoco e acqua di cui è composto l’occhio e quindi producono una esperienza visiva diversa. Probabilmente Platone pur supportando i colori primari di Empedocle (bianco e nero) si rende conto che mescolando bianco e nero si ha solo il grigio, che può esprimere solo la chiarezza. Dunque è possibile che aggiunga il rosso per avere in qualche modo la tinta, e lo splendente per avere la brillanza.

Ognuno dei quattro colori primari di Platone corrisponde a particelle di fuoco di dimensioni diverse. Tutti gli altri colori sono mescolanze (di particelle di fuoco) di questi primari. Per esempio l’arancio è una mescolanza di bianco, splendente e rosso, intendendo con questo che emette un effluvio che è una mescolanza di particelle di fuoco di diverse dimensioni, corrispondenti ai colori bianco, splendente e rosso. 4 Platone presenta una lista non esaustiva di nove colori che si ottengono mescolando i colori “primari”: arancio, viola, bruno, ambra, grigio, ocra, turchino, celeste, verde.

Lo splendente mescolato col rosso e col bianco dà l’arancio. Ma dirne le proporzioni, se anche si sapessero, non sarebbe da savio, perché non se ne potrebbe indicare neppure a un dipresso né la ragione necessaria né quella verosimile.
Il rosso misto al nero e al bianco è il viola, ma diviene il bruno quando a questi mescolati e bruciati si mescola più di nero. Ambra nasce dalla mescolanza di arancio e di grigio, il grigio da quella di bianco e di nero, il color ocra dal bianco mescolato con l’arancio.
Il bianco unendosi con lo splendente e cadendo nel nero carico produce il colore turchino, e dal turchino mescolato col bianco nasce il celeste, mescolato col nero, il verde.
Quanto agli altri colori, dalle cose dette è abbastanza manifesto a quali mescolanze si potrebbero assimilare per mantenere la verosimiglianza del nostro discorso.
[Platone Timeo] 68 B

Platone termina le sue spiegazioni sui colori con una celebre nota nella quale  condanna la conoscenza sperimentale delle proporzioni con cui ogni colore viene generato a partire dai primari.

Ma se alcuno attendesse a fare esperienza di queste cose, considerandole nel fatto, disconoscerebbe la diversità fra la natura umana e la divina, cioè che dio sa e può a sufficienza combinare molte cose in una e sciogliere una cosa in molte, ma nessuno degli uomini ora vale a fare né l’una cosa né l’altra, né mai varrà nell’avvenire.
[Platone Timeo] 68 D8

Il significato di questo passo è che, anche se sperimentalmente è possibile farsene un’idea, è impossibile conoscere le esatte proporzioni usate dal dio nella creazione dei vari colori degli oggetti. La realtà di questi fenomeni non si può controllare con l’esperienza, perché questo significherebbe confondere la natura umana con quella divina. Insomma, conformemente all’impostazione generale del pensiero platonico, gli umani non possono pensare di poter investigare la natura, non è nelle loro possibilità.

Ma sarà proprio il migliore allievo di Platone, Aristotele, a sconfessare il proprio maestro e ad intraprendere la strada dell’investigazione della natura.

In breve

Per Platone la visione avviene quando l’occhio di un osservatore emette un “fuoco visuale” che si unisce (si fonde, si amalgama) con la luce del sole (che è un altro fuoco, simile a quello visuale) producendo il cosiddetto “corpo visuale” che collega l’occhio dell’osservatore con l’oggetto osservato.

Il colore di un oggetto è un effluvio (un terzo tipo di fuoco) che da esso emana ed esiste indipendentemente dal fatto che venga visto o non visto da un osservatore e anche dal fatto che ci sia o non ci sia luce. Quando la luce c’è e il corpo visuale intercetta l’effluvio dell’oggetto (cioè quando l’oggetto viene osservato), allora il colore dell’oggetto (in realtà la sua superficie) viene visto.

L’effluvio emanato da un oggetto è composto unicamente di particelle di fuoco di diverse dimensioni e il colore dell’oggetto dipende dalla dimensione delle particelle dell’effluvio rispetto alle dimensioni delle particelle del corpo visuale. Se sono della stessa dimensione l’oggetto appare trasparente; se sono più piccole l’oggetto appare bianco; se sono più grandi l’oggetto appare nero. Oltre al bianco e al nero esistono altri due colori “primari”: rosso e splendente.

Tutti gli altri colori sono mescolanza di questi quattro primari in qualche proporzione determinata dal demiurgo e non precisamente definibile con l’esperienza umana.


Note

1 Platone potrebbe avere utilizzato nella stesura del Timeo un libro sulla dottrina pitagorica scritto da Filolao di Taranto.

2 F. M. Cornford Plato’s Cosmology Routledge & Kegan, London 1937, p.152

3 Katerina Ierodiakonou “Basic and mixed colours in Empedocles and in Plato” in L’antiquité en couleurs: catégories, pratiques, représentations Éditions Jérôme Millon 2009 119-130

4 Katerina Ierodiakonou “Plato’s Theory of Colours in the Timeus” Rhizai 2/2005 219-233

 

Mauro Boscarol

27/9/2009 alle 22:00