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Storia della sensazione del colore2.2.2 La Casa della saggezza e la scienza araba
Avicenna e la tradizione aristotelica della visione
Psicologia della percezione secondo Avicenna
Lux, lumen e colore in Avicenna
Alhacen e il tramonto delle teorie emissioniste
Luce e colore secondo Alhacen
Averroè e la teoria aristotelica della visione
Nell’Occidente, dopo la deposizione dell’ultimo imperatore nel 476, la scienza aveva cessato di svilupparsi, mentre sotto l’impero bizantino maggiore fu l’attività di conservazione e trascrizione delle opere antiche rispetto al mondo latino. L’impero includeva nei suoi confini molti sudditi di lingua siriaca, un dialetto della lingua aramaica culturalmente fondante nello sviluppo della lingua araba (Gesù parlava un altro dialetto dell’aramaico, il giudaico). Nel concilio di Efeso del 431 il patriarca cristiano di Costantinopoli Nestorio aveva sostenuto una dottrina che era stata duramente combattuta dal suo omologo di Alessandria, Cirillo (lo stesso che nel 415 aveva organizzato l’assassinio di Ipazia) e poi condannata. 1 Dopo il concilio di Calcedonia del 451 che aveva tentato un accordo tra le parti, i nestoriani erano stati costretti ad emigrare in Persia nell’impero sasanide, dove a partire da III secolo la lingua siriaca aveva sostituito il greco. La chiesa nestoriana, grazie anche alla protezione dell’impero persiano, ebbe una straordinaria diffusione in Asia, fino all’India e alla Cina, così che la lingua siriaca divenne veicolo della cristianità in tutta l’Asia. Dal VI secolo in avanti, i cristiani nestoriani, uniti ai filosofi pagani che Giustiniano aveva bandito da Atene nel 529, si erano impegnati in una intensa attività culturale, specialmente nella città persiana di Gondishapur (oggi in Iran).
Durante la conquista dell’impero persiano, nel 637 gli arabi erano venuti a contatto con il patrimonio culturale dei cristiani nestoriani e Gondishapur era diventato il centro scientifico dell’impero islamico. 2 Verso il 750 prende il potere la dinastia abbaside il cui califfo nel 762 fonda sulla riva destra del fiume Tigri la capitale, Bagdad (oggi in Iraq), 3 che diventa presto un grande centro culturale rivaleggiante con Gondishapur.
Il secolo che va dal 750 all’850 è stato quello delle traduzioni delle opere di Platone, Aristotele, Euclide, Tolomeo, Galeno dal greco alla lingua siriaca. In particolare era attivo un orientamento di tipo medico che riguardava lo studio dell’anatomia, fisiologia, patologia dell’occhio. A Bagdad nell’832 viene fondata la “Casa della saggezza” una delle massime istituzioni culturali del mondo islamico di allora. La città era già ricca di biblioteche e istituzioni accademiche e alcuni storici pensano che il termine “Casa della saggezza” possa riferirsi a tutta la città. 4 Potrebbe anche essere stata “solo” una grande biblioteca, ma in ogni caso oggi non ne resta più traccia, non si sa dove fosse, né che aspetto avesse.
Al cuore di questo movimento culturale vi erano due circoli di traduttori: uno faceva capo all’islamico Yaqūb al-Kindī, l’altro al cristiano nestoriano Hunayn ibn Ishāq.
Al-Kindi e Hunain nella Casa della saggezza
Il più antico autore di ottica del mondo islamico, al-Kindi, nasce negli anni in cui Carlo Magno viene incoronato imperatore del Sacro Romano Impero a Roma. 5 Al-Kindi è il primo filosofo che scrive in arabo ed è particolarmente impegnato nella trasmissione della cultura greca all’islam, coordinando, incoraggiando e patrocinando l’attività di traduzione dal greco all’arabo nel IX secolo. Molti dei traduttori che collaborano con lui nella “Casa della saggezza” sono cristiani di lingua siriaca. Pare che al-Kindi abbia scritto oltre 260 libri in molti campi del sapere, per la maggior parte opere che espongono il pensiero filosofico greco ai lettori islamici del IX secolo. 6 La sua sintesi tra filosofia greca e teologia islamica è un anello fondamentale per lo sviluppo della filosofia occidentale scolastica fino a Cartesio.
Al-Kindi è autore di un trattato sulla visione in accordo con l’Ottica di Euclide (tradotta dal greco in arabo probabilmente dai traduttori del suo stesso circolo con diverse trasformazioni) 7 e ispirata anche all’Ottica di Tolomeo. L’opera ha avuto grande diffusione nell’islam per tutto il Medioevo ed ha contribuito ad affermare la teoria emissionista della visione presso gli studiosi arabi fino all’attacco di Avicenna (attorno al 1000). Anche in Occidente, dove verrà tradotta in latino nel XII secolo da Gerardo da Cremona con il titolo De aspectibus (“aspectus” è la parola con la quale i latini traducevano il termine arabo che in italiano si traduce “vista” o “rappresentazione visiva”) l’opera sarà molto apprezzata e tenuta in gran conto da Robert Grosseteste, Roger Bacon (che la cita con il titolo De visu), Alberto Magno e John Peckham fino a Leonardo e a Cardano.
Al-Kindi è favorevole alla teoria emissionista della visione perché i raggi possono essere considerati linee rette alle quali si possono applicare le regole geometriche, ma anche perché la teoria emissionista assimila la visione al tatto. In Occidente la teoria emissionista della visione avrà poco successo e verrà raramente adottata come la “vera” teoria della visione ma al-Kindi verrà preso in considerazione e citato da coloro che sostenevano una teoria combinata emissionista-immissionista di tipo platonico (dunque i francescani). Al-Kindi rifiuta comunque le teorie rivali, cioè quella immissionista degli atomisti, la teoria platonica del Timeo e la teoria aristotelica esposta nel trattato Dell’anima e, pur appoggiando la teoria emissionista come esposta da Euclide, cerca di correggere quelle che lui considera imprecisioni e di colmare quelle che lui considera lacune. 8
Una di queste lacune sta nel fatto che la propagazione rettilinea è, secondo al-Kindi, dimostrabile e quindi non è necessario porla come assioma. La dimostrazione è basata in realtà sui raggi luminosi e non sui raggi visuali ma, come Teone e Tolomeo, al-Kindi li considera identici in natura (o almeno nei loro modi di propagazione). Poi al-Kindi sostiene che i raggi visuali non sono astrazioni geometriche (come potrebbe apparire leggendo Euclide) ma sono concrete entità fisiche tridimensionali, e non contattano l’oggetto osservato in punti ma in aree estese. Da questo fatto si deduce che il cono di Euclide, con il vertice nell’occhio, va pensato continuo (questa era già un’idea di Tolomeo) e non discreto. Il cono e i raggi non sono entità astratte ma corporee. E ancora al-Kindi ritiene che un raggio visuale venga sì propagato in linea retta, ma con un effetto istantaneo lungo l’intero percorso (mentre è possibile che Euclide pensasse ad una velocità finita, uguale per tutti i raggi).
Al-Kindi prende da Tolomeo l’idea che la visione periferica (cioè con raggi distanti da quello assiale) sia più debole della visione di qualcosa che è di fronte a noi, e che ciò sia dovuto al fatto che i raggi perpendicolari colpiscono gli oggetti più intensamente, anzi l’oggetto viene raggiunto da un maggior numero di raggi. Infatti poiché l’occhio è convesso non tutti i raggi possono raggiungere un dato punto dell’oggetto osservato ma solo quelli non ostacolati dalla convessità della pupilla. Al-Kindi dimostra che quando ci si allontana dall’asse della visione (dal centro dell’occhio al centro della superficie dell’oggetto), il numero dei raggi che raggiungono l’oggetto diminuisce e la visibilità si riduce.
È proprio in questa dimostrazione che al-Kindi fa le affermazione più importanti di tutto il trattato De aspectibus, cioè (a) la parte dell’occhio attiva nella visione è la cornea (e non il centro dell’occhio come per Euclide) ma soprattutto (b) ogni punto sulla superficie della cornea emana un numero infinito di raggi in tutte le direzioni possibili (o alternativamente ogni punto del campo visivo è “illuminato” da raggi che partono da ogni punto dell’occhio che possa accedere in linea retta al punto del campo visivo). Di conseguenza non c’è un singolo cono visuale con lo spigolo nel centro dell’occhio, ma diversi coni con i diversi spigoli sulla cornea (o meglio sulla parte della cornea che sta davanti alla pupilla). Questa ipotesi (detta “ipotesi puntiforme della luce” e solo enunciata da al-Kindi) è di importanza fondamentale e “nelle mani di Alhacen più di un secolo dopo diventerà il fondamento di una nuova teoria della visione”. 9 È curioso che al-Kindi abbia formulato la sua ipotesi per sostenere la teoria estromissiva mentre Alhacen la sfrutterà per sostenere la teoria intromissiva. L’ipotesi di al-Kindi verrà comunque ripresa da Roger Bacon e da Witelo e nel XVI secolo, rielaborata da Keplero, porterà ad una spiegazione corretta e completa della visione, quella accettata ancor oggi.
L’opera di al-Kindi nel campo dell’ottica va vista sullo sfondo della filosofia espressa nel suo De radiis (“Sui raggi [delle stelle]”), noto al lettori latini dal XIII secolo e considerato un trattato di astrologia e di magia naturale, in cui l’autore afferma che i raggi luminosi veicolano forze precise che procedono sia dalle stelle che dai corpi terrestri, contribuendo alla vitalità dell’universo.
…È manifesto che qualsiasi realtà di questo mondo,
sia essa sostanza o accidente, a modo suo emette raggi come le stelle. 10
Ogni stella determina la potenza dei raggi ed agisce diversamente nel mondo a seconda della risposta che l’energia incontra durante il suo procedere. Questa radiazione di “forze universali” collega il mondo in una rete in cui tutto agisce su tutto per produrre effetti naturali. Tutta l’attività della natura viene esercitata attraverso questa interrelazione di forze universali che avvengono secondo raggi, quindi secondo le leggi di diffusione radiale dell’ottica geometrica. 11 Il diffondersi della luce è uno dei modi possibili di trasferimento di una forza.
Si tratta di una filosofia ispirata al pensiero neoplatonico dell’emanazione la quale a sua volta influenzerà Robert Grosseteste (De luce) e soprattutto Roger Bacon (De multiplicatio specierum) e che verrà rifiutata dalle autorità dell’Università di Parigi in due occasioni: nel 1277 e nel 1398. 12 Nel trattato al-Kindi afferma anche che i raggi delle stelle perpendicolari alla terra hanno un effetto maggiore rispetto ai raggi obliqui, e questo è analogo all’affermazione in De aspectibus che i raggi visuali perpendicolari alla pupilla consentano di vedere meglio.
…È infatti provato che il raggio discendente dalla stella al centro della terra è potentissimo nelle operazioni della sua specie. Invece quelli deviati dal centro della terra sono indeboliti nell’effetto in proporzione all’obliquità dell’irradiamento. 13
Al-Kindi ha scritto almeno un paio di brevi trattati (epistole) sul colore. 14 Il primo è una dimostrazione che il colore è causato dalla presenza dell’elemento terra nell’oggetto visibile. Gli altri elementi, aria, acqua e fuoco sono trasparenti e non possono contribuire al colore. Il secondo trattato spiega che la causa del colore azzurro del cielo sta nel fatto che nell’aria sono distribuite particelle opache, che vengono colpite dalla luce riflessa dalla terra ed emessa dalle stelle. Dalla luce riflessa e dal buio delle particelle si genera il colore, che in questo caso è azzurro. Curioso osservare che questi argomenti sul colore non sono basati sulla teoria euclidea della visione, appoggiata da al-Kindi, ma su quella aristotelica.
Contemporaneo di al-Kindi, Hunain ibn Ishaq, 15 conosciuto nel tardo Medioevo con il nome di Ioannitius) è l’altra figura dominante nella “Casa della saggezza” di Bagdad. È un cristiano nestoriano, non si convertirà mai all’islam e non si unisce al “circolo” di al-Kindi, costituendo un proprio gruppo di traduttori. Filosofo e medico, traduce dal greco al siriaco e all’arabo quasi tutto il corpus degli scritti di Galeno reinterpretandoli e commentandoli, e alcune opere di Platone e Aristotele.
Le sue opere comprendono due libri sull’oculistica medica nei quali si presenta una completa descrizione dell’anatomia e fisiologia dell’occhio e del nervo ottico, tratta principalmente da De placitis Hippocratis at Platonis and De usu partium di Galeno. L’opera non apporta significative novità ma trasmette una versione essenzialmente pura della teoria di Galeno che rimarrà intatta per secoli. I libri verranno tradotti in latino alla fine dell’XI secolo con il titolo De oculis ed influenzeranno direttamente o indirettamente tutti gli studiosi di anatomia occidentali fino al XVI secolo, cioè fino al grande anatomista fiammingo Andrea Vesalio.
Avicenna e la tradizione aristotelica della visione
Nel secolo che va dal’850 al 950 si assiste ad un grande risveglio dell’attività culturale e intellettuale del mondo arabo che aveva ereditato la cultura greca e ne continua la tradizione scientifica. 16 L’arabo comincia a sostituire il siriaco nelle opere scientifiche e mediche e rimarrà per circa tre secoli la lingua internazionale della scienza. Vengono tradotti gran parte degli studi greci sulla visione e a partire dal X secolo nell’ambito teorico si riprendono i temi classici della tradizione ellenistica: riflessione, rifrazione, l’ottica geometrica di Euclide e Tolomeo, i colori dell’arcobaleno. Questo movimento culturale avrà grande eco nell’Europa latina nel XII e XIII secolo attraverso la traduzione e la ritraduzione in latino delle opere arabe e greche. Nell’ambito applicativo iniziano a distinguersi due campi: l’ottica utilitaristica (strumenti e dispositivi ottici) e l’ottica di passatempo (fenomeni ottici che possono distrarre e stupire). 17
Attorno all’anno 1000, due secoli dopo al-Kindi e Hunain le teorie emissioniste della visione, sia quella matematica di Euclide e Tolomeo che quella fisiologica di Galeno, cominciano ad essere messe in discussione. L’attacco principale è portato dal medico e filosofo Avicenna, probabilmente il più influente studioso della natura di tutta la storia islamica. 18
Come medico Avicenna compone l’enciclopedico Canone di medicina, che sintetizza tutte le conoscenze greche, persiane e indiane del tempo e che resterà il testo accademico di riferimento per oltre 500 anni. Nel Canone è tra l’altro descritta accuratamente l’anatomia dell’occhio umano, in conformità con la descrizione di Hunain. In Europa le opere di Avicenna inizieranno ad essere tradotte nella seconda metà del XII secolo e la sua diventerà un’importante figura medica a partire dal XIII secolo, tramite la Scuola medica salernitana. Come filosofo Avicenna crea nel Libro della guarigione una grande sintesi del pensiero aristotelico integrandolo con elementi neoplatonici (origine delle cose e Dio) e altri tratti dalla religione islamica, col proposito di essere imparziale nel rapporto tra gli occidentali (aristotelici) e gli orientali (platonici). 19 Oltre un secolo dopo Averroè considererà errate le deviazioni di Avicenna dal pensiero peripatetico puro, ma molte delle sue tesi verranno accolte e ripensate nel XIII secolo dai filosofi cristiani della scolastica, in particolare da Bonaventura, Alberto e Tommaso.
Psicologia della percezione secondo Avicenna
Nel Libro della guarigione Avicenna distingue tre attività dell’anima: l’attività vegetativa, quella sensibile e quella razionale. L’attività sensibile dell’anima consiste nell’acquisire informazioni sia dai sensi esterni (i cinque sensi classici, compresa la vista) che dai sensi interni. 20 In accordo con Aristotele, Avicenna ritiene che la sensazione riguardi la forma senza la materia. Un oggetto (a) trasmette la propria forma (che è una immagine della materia con tutti i suoi accidenti) ai sensi esterni che la registrano e la trasmettono ai sensi interni, e (b) trasmette la propria intentio (che rappresenta il significato, il proposito dell’oggetto) direttamente ai sensi interni che sono situati nel cervello. Così i sensi interni vengono a conoscenza sia della forma (attraverso i sensi esterni) che della intentio (direttamente) la quale può significare, per esempio, inimicizia, malizia, aggressività.
I sensi interni sono una delle principali innovazioni della psicologia aristotelica da parte di Avicenna, che espande la nozione di senso comune facendone il primo dei sensi interni, il cui scopo è raccogliere e raccordare passivamente le forme apprese dai sensi esterni e generare la sensazione vera e propria. 21 Poi l’immaginazione completa il processo di sensazione conservando passivamente le forme che possono essere ripresentare nei sogni e nei ricordi. La estimativa riceve le intenzioni non apprese dai sensi e ne deriva le informazioni che motivano l’individuo per le azioni successive. La fantasia è un senso interno attivo che compone, distingue, divide le forme (con questa facoltà si possono formare immagini fantastiche come una montagna d’oro, combinando l’immagine dell’oro con quella della montagna). La estimativa è il senso interno che apprende direttamente l’intenzione di un oggetto, e infine la memoria permette di ricordare le forme e le intenzioni. L’anima razionale, alla quale spetta il compito conoscitivo, apprende dai sensi interni sia la forma sia l’intenzione dell’oggetto. Famoso è l’esempio della pecora e del lupo: la pecora fugge quando riconosce il lupo perché percepisce con i sensi esterni la sua forma e con i sensi interni la sua intenzione aggressiva. 22
Applicata alla visione, la teoria della percezione di Avicenna prevede che la vista registri la forma dell’oggetto visto (precisamente nel cristallino, che è la sede centrale della visione) la quale viene trasmessa lungo i nervi ottici che funzionano come strumenti attraverso i quali passano gli spiriti visibili (di galenica memoria) che portano la virtù della vista fino al senso comune. Nel chiasma (già noto alla medicina del tempo) le due immagini oculari diventano una sola immagine. Fino a questo punto c’è solo attività biologica, senza partecipazione della conoscenza. Ma ora la forma viene trasmessa ai cinque sensi interni che hanno ricevuto direttamente anche l’intentio ed infine forma ed intentio vengono passate all’anima razionale, l’intelletto, dove si forma la vera conoscenza di ciò che si è visto.
Questa descrizione psicologica della sensazione e della conoscenza ha avuto grandissima influenza nella filosofia medievale e sul pensiero di Grosseteste, Bacon, Peckham, Teodorico e la ritroviamo anche nella Somma teologica di Tommaso d’Aquino.
Lux, lumen e colore in Avicenna
Sul meccanismo fisico della visione Avicenna, pur scostandosene per alcuni dettagli, rimane nel solco aristotelico. Rifiuta la teoria emissionista del raggio visuale nella forma euclidea e tolemaica perché una cosa piccola come l’occhio non può emettere una quantità enorme di sostanza che riempia una semisfera. E poi, se l’oggetto visibile fosse percepito da un cono con il vertice nell’occhio, la distanza dell’oggetto non dovrebbe influire sulla grandezza percepita. Considera assurda anche la teoria galenica quando afferma che l’aria viene usata come strumento dell’occhio, perché in tal caso l’aria avrebbe un certo stato per tutti gli osservatori, mentre la visione è chiaramente un processo individuale. È invece d’accordo con il modello immissionista di Aristotele secondo il quale la visione avviene in un mezzo trasparente che il colore di un oggetto ha la capacità di “muovere”. 23 La teoria della visione di Avicenna sarà accolta da Alberto Magno nel commento a De sensu et sensato dove vengono ripresi gli argomenti contro la teoria emissionista.
Avicenna distingue tra corpi trasparenti e corpi opachi, e tra i corpi opachi distingue quelli autoluminosi da quelli che non lo sono. Un corpo trasparente non è visibile anche se illuminato, un corpo opaco autoluminoso è visibile per la propria lux, un corpo opaco non autoluminoso è un oggetto colorato ed è reso visibile dal lumen che lo raggiunge. Avicenna dunque opera la distinzione, identica a quella fatta da Plotino, tra due diversi tipi di “luce”, in arabo rispettivamente daw (plurale diya) e nur, tradotti in latino lux e lumen. 24 Lux è la luce di un corpo autoluminoso come il sole o il fuoco, lumen invece è la luce che irradia da un corpo autoluminoso, è la luce che illumina e rende visibili i corpi che altrimenti non lo sarebbero. È l’effetto illuminante della lux e, per estensione, la manifestazione fisica della lux nei mezzi trasparenti. 25 Avicenna scrive in De anima che
…la lux è una qualità che l’occhio percepisce nel sole e nel fuoco, senza che si possa dire che essa sia nerezza, bianchezza, rossezza o un altro colore; il lumen è qualcosa che emana da un tale corpo [autoluminoso] e che si immagina cada sui corpi, presentandosi allora come bianchezza, nerezza o come verde.
In assenza di una lux una persona semplicemente non vede nulla, non si può dire che “vede” l’oscurità. Se non c’è lux non c’è lumen, gli oggetti non vengono illuminati e il loro colore non può essere visto, è solo potenziale. Il colore (il sensibile proprio della vista) diventa attuale quando un oggetto è illuminato e il colore potenziale si mescola con la lux. Questa mescolanza forma una radius o radiositas che viene riflesso dal corpo. Quando la radiositas è connessa con un osservatore, la forma, l’immagine sensibile dell’oggetto, viene proiettata verso l’osservatore che la vede come colore attuale e si ha la visione. 26 In questo modo la lux è la proprietà distintiva dei corpi opachi autoluminosi e il colore è la proprietà distintiva dei corpi opachi non autoluminosi. La lux si trova in un mezzo trasparente e gli conferisce perfezione perché non impedisce l’azione sull’oggetto, il lumen cade su un corpo non autoluminoso e gli conferisce perfezione perché attualizza il colore.
Naturalmente la distinzione fra lux e lumen implica una modifica delle antiche concezioni aristoteliche. Per Avicenna il concetto di lux non è più uno stato del mezzo necessario per la percezione del colore ma comincia a denotare caratteristiche formali dei corpi che vengono rivelate all’osservatore per mezzo di simulacri, species, che nelle diverse interpretazioni sono materiali o immateriali. La lux quindi, diviene visibile per mezzo del lumen, che è species della lux. Nel concetto di lumen si trovano gli aspetti fisici legati alla diffusione della lux ed all’interazione con gli oggetti (riflessione, rifrazione). Il lumen è la base fisica della lux ed è ciò che incide sull’occhio. Questa distinzione consente di separare la parte fisica e oggettiva della visione dalla parte fisiologica e psicologica. La parte fisica della scienza della visione si occuperà sempre più della definizione del lumen inteso come species corporea. La distinzione sarà fondamentale per arrivare a studiare la natura e le caratteristiche fisiche del lumen distinto dal processo di visione (già Avicenna riconosce che la velocità del lumen è finita) 27 e verrà conservata per tutto il Medioevo fino a Galileo compreso, anche quando i termini lux e lumen verranno tradotti in volgare luce e lume. 28
A partire dal XVII secolo il concetto di lumen si staccherà completamente da quello di lux e assumerà un significato fisico vicino a quello contemporaneo. Ma nel Medioevo la scissione non è ancora avvenuta e il processo di visione continua ad essere considerato unitario. Il soggetto senziente percepisce la lux che è dunque responsabile degli aspetti psicologici e soggettivi della visione. Il termine lux verrà anche ampiamente utilizzato in senso metafisico con il significato di illuminazione divina o celeste, opposto a lumen che non ha alcuna connotazione divina, è l’illuminazione terrena, qualcosa di inferiore, non attiva in sé, prodotta dalla lux.
Il colore, da parte sua, è la proprietà formale e inerente di un oggetto opaco che lo rende potenzialmente visibile, e diventa attualmente visibile solo quando la luce che lo illumina si mescola con esso e lo potenzia irradiando la sua forma attraverso il medium trasparente. Sia la luce che il colore illuminato sono per Avicenna visibili per sé.
Avicenna è il primo studioso a deviare dalla teoria aristotelica della disposizione lineare dei colori. Rigetta sia la teoria che i colori debbano essere ordinati in una scala lineare, sia la teoria che i colori intermedi tra bianco e nero si possano tutti ottenere mescolando i due estremi. Propone invece un ordinamento bidimensionale che trae da osservazioni empiriche sulla luce colorata, come la fiamma che diventa rossa in presenza di fumo. Secondo questo ordinamento la scala da bianco a nero non è unica, ce ne sono almeno tre, indicate nello schema qui sotto:
albus |
||
sub pallidus |
sub rubeus |
viriditas |
pallidus |
rubeus |
indicus |
niger |
L’ordinamento di Avicenna verrà conosciuto nel mondo latino attraverso l’opera enciclopedica Speculum majus del domenicano Vincenzo de Beauvais (1190-1264) 29 e l’astronomo persiano Nasir al-Din al-Tusi (1201-1274) aggiungerà altre due scale per un totale di 25 colori. 30
9.5Alhacen e il tramonto delle teorie emissioniste
La concezione della visione di Avicenna è psicologica e spiritualista, fondata sulla dottrina degli spiriti visibili (legati alle facoltà superiori dell’anima sensibile) all’interno del cervello. Sarà molto seguita nel XIII secolo quando è ancora vivo l’interesse per la teologia. Al contrario la concezione del suo contemporaneo Alhacen è di tipo fisico e sperimentale. 31 La luce è considerata oggetto della visione e i fenomeni luminosi sono movimenti di raggi che si spiegano in termini geometrici.
Alhacen è autore di numerosi scritti ma gli intellettuali del Medioevo conosceranno soprattutto un trattato in sette libri scritto in arabo tra il 1028 e 1038 che tratta della natura della luce e del colore, dei meccanismi della visione, della propagazione della luce e dei fenomeni meteorologici che coinvolgono la luce. Kitāb al-Manāzir (“Libro dell’ottica”) viene tradotto dall’arabo al latino per la prima volta attorno al 1200 con il titolo De aspectibus (lo stesso titolo che era stato dato al trattato di al-Kindi un paio di secoli prima) e subito considerato il testo di riferimento nel campo dei fenomeni ottici. De aspectibus sarà uno dei manuali di perspectiva (cioè di ottica) più diffusi nel Medioevo. Tra il XIII e il XIV secolo il nome di Alhacen, con riferimento alla visione e agli specchi, sarà così famoso in Occidente che comparirà anche in opere non specialistiche come Le Roman de la Rose (di Jean de Meun scritta in francese medievale nel XIII secolo) e The Canterbury Tales (di Geoffrey Chaucer, scritta in inglese antico nel XIV secolo). 32
Witelo scriverà tra il 1268 e il 1279 alla corte papale di Viterbo una parafrasi e un commento al testo di Alhacen. La sua dottrina avrà notevole influenza soprattutto nel XIV secolo, quando l’interesse teologico si affievolirà e prevarrà l’interesse sulle cose della natura. Nel 1572 il testo di Alhacen (tradotto in latino da Frederic Risner) verrà stampato a Basilea col titolo Opticae thesaurus libri VII e confezionato assieme al testo di Witelo. 33
De aspectibus consiste di sette libri, i primi tre dedicati alla visione diretta, i successivi tre alla visione per riflessione e l’ultimo alla visione per rifrazione. Alhacen inizia il suo trattato citando l’abbagliamento causato dalla luce del sole, del giorno o del fuoco: questo dimostra che la visione avviene nella direzione che va dall’oggetto verso l’occhio e non viceversa: 34
Abbiamo trovato che quando la nostra vista è diretta verso sorgenti di luce [luces] molto forti prova un intenso dolore e viene danneggiata, infatti quando un osservatore guarda il corpo del sole, propriamente non può farlo perché la sua vista soffrirà per la sua luce [lucem]. E similmente quando egli osserva uno specchio terso sul quale splende il sole, e il suo occhio è diretto verso il punto in cui la luce [lux] viene riflessa dallo specchio, prova dolore per la luce [lumen] che raggiunge l’occhio dallo specchio, ed egli non può aprire l’occhio per guardare quella luce [lumen]. 35
Il fenomeno dell’abbagliamento, già citato da Lucrezio, 36 dimostra che esiste una entità fisica esterna all’individuo, la luce, la cui azione prolungata e diretta può danneggiare la vista e ferire gli occhi (una idea che alcuni platonici medievali non accetteranno perché l’occhio è più nobile dell’oggetto osservato e non può essere ferito dalla luce). La luce arriva dall’oggetto all’occhio dell’osservatore e qui incontra il potere visuale. È caratteristico della luce agire sull’occhio ed è nella natura dell’occhio essere affetto dalla luce. Le teorie emissioniste della tradizione pitagorica, euclidea, tolemaica vengono definitivamente archiviate. Il verso dei raggi viene invertito, il vertice viene messo nell’oggetto illuminato e la base nell’occhio.
Stabilito il verso, Alhacen sviluppa l’idea che al-Kindi (che non era immissionista) aveva proposto due secoli prima, cioè che ogni punto sulla superficie della cornea emana un numero infinito di raggi in tutte le direzioni possibili. Applicato alla luce, questo significa che da ogni minima area della superficie di un oggetto autoluminoso si propagano infiniti raggi di minima luce (lux minima) e colore in ogni direzione e quindi anche in direzione degli occhi di chi sta di fronte. Questa idea pone il problema di come questi raggi riescano a produrre una impressione visiva coerente. Infatti ogni punto dell’occhio è raggiunto dai raggi emessi da ogni punto del campo visivo con il risultato di una completa confusione. È invece necessario che ogni punto del campo visivo venga riprodotto in un singolo punto nell’occhio, cioè che ogni punto dell’occhio sia raggiunto da un singolo punto del campo visivo.
Alhacen risolve questo problema ipotizzando che di tutti i raggi che da un punto di un oggetto osservato arrivano sulla superficie della cornea, uno solo di essi, quello che incide perpendicolarmente alla superficie dell’occhio (radius perpendicularis) raggiunge il cristallino attraversando la cornea senza essere rifratto e produce la visione. Tutti gli altri raggi cadono obliquamente sulla superficie dell’occhio, dunque vengono rifratti e indeboliti a tal punto da non poter stimolare la visione. L’immagine non dipende dall’ampiezza dell’angolo ottico come nella geometria di Euclide e Tolomeo, ma dalla perpendicolarità della linea che unisce un punto della superficie visibile al centro dell’occhio.
Alhacen indica il cristallino come organo centrale della visione, pur conoscendo l’esistenza della retina e la sua struttura nervosa per “l’imbarazzante capovolgimento dell’immagine che altrimenti si otterrebbe se i raggi proseguissero oltre”. 37 Nei due cristallini si producono così le due immagini esterne che vengono trasmesse lungo i rispettivi nervi ottici i quali convergono nel chiasma ottico dove le due immagini si riuniscono. La percezione finale dell’immagine dipende da una serie di operazioni del cervello che riceve la forma o l’impressione dagli occhi.
Nella teoria della visione di Alhacen è integrata una descrizione anatomica dell’occhio presa da Galeno che non aggiunge nessun dato alle nozioni anatomiche del tempo. Tuttavia Alhacen ha il merito di organizzarle e di utilizzare i nomi con sistematicità. Il nervo ottico e l’occhio intero ha origine nel cervello che è la sede centrale delle sensazioni. I due nervi ottici si incontrano nel chiasma e poi si dividono e si estendono nell’orbita degli occhi. Il nervo ottico è cavo ed è costituito da due tuniche sovrapposte che si innestano nell’occhio, il quale è costituito di quattro tuniche concentriche e tre umori.
Luce e colore secondo Alhacen
Nel suo testo arabo Alhacen pare che non usi i due termini per la luce già usati da Avicenna, cioè daw e nur. Tuttavia i traduttori latini traducono a volte lux e a volte lumen. 38 Alhacen sposa la teoria aristotelica della luce come forma trasmessa in un medium. Alhacen distingue la lux dei corpi autoluminosi come il sole e le stelle, che è una forma essenziale, dal lumen che viene trasmesso dal corpo autoluminoso e riflesso dai corpi opachi come la luna o rifratto dai corpi trasparenti come l’acqua, che è una forma accidentale. Il lumen è la replica formale, la manifestazione accidentale della lux nel mezzo trasparente. Per stabilire la propagazione rettilinea del lumen Alhacen esegue numerosi esperimenti con camera oscura, foro stenopeico, tubi e mostra anche che le luci e i colori emanati dai corpi non si mescolano nell’aria. Diverse candele di fronte a un foro stenopeico riproducono lo stesso numero di candele capovolte.
I corpi opachi assorbono in parte la luce che li raggiunge e in parte la riflettono o la trasmettono diventando sorgenti luminose essi stessi. La luce propagata in questo modo è detta lux secundaria per distinguerla dalla lux primaria del corpo autoluminoso. La lux secundaria è più debole di quella primaria, ma entrambe sono emesse allo stesso modo: istantaneamente, da tutti i punti dell’origine, in tutte le direzioni e in modo rettilineo.
Il colore, che è l’oggetto proprio della vista ed è una proprietà dell’oggetto osservato, si manifesta con l’opacità. Come la luce, il colore replica se stesso nel mezzo trasparente ma non illumina. Per manifestare se stesso (per esempio per impartire ad altri oggetti opachi che gli stanno attorno la propria tinta) deve essere illuminato. L’affermazione più importante di Alhacen sul colore è che la forma del colore e la forma della luce stanno sempre assieme, sono fuse, mescolate, inseparabili. Il colore non si manifesta senza luce e la luce ha sempre un colore (che deriva dai corpi opachi dai quali viene riflessa o trasmessa). Dunque l’oggetto della vista non è solo il colore come per Aristotele, ma sia il colore che la luce. Tuttavia, pur essendo di per sé visibile, la funzione primaria della luce è quella di rendere visibile il colore.
Per la prima volta dopo Aristotele, Alhacen descrive il fenomeno del contrasto simultaneo: punti rossi su sfondo bianco appaiono più scuri, su sfondo nero appaiono più chiari, su sfondo grigio appaiono nel loro modo naturale:
…se un corpo bianco puro è punteggiato con una vernice di colore scuro, facendo cadere piccole gocce di vernice su di esso, oppure se su di esso vengono fatti dei piccoli disegni con questa vernice, la vernice apparirà nera o molto scura … e l’occhio non sarà in grado di percepire il suo vero colore. Se vengono realizzati dei segni con la stessa vernice su un corpo nero come la pece, la vernice apparirà bianca o quasi … e l’occhio non riuscirà a percepire il suo vero colore. Se, tuttavia, questa vernice è posta in mezzo a corpi che non sono estremamente bianchi o estremamente neri, il suo colore apparirà come è. 39
Questa descrizione del contrasto simultaneo anticipa alcuni concetti che Helmholtz e Hering svilupperanno nel XIX secolo (in particolare il concetto di “inferenza inconscia”). 40
In un altro passaggio Alhacen riprende il noto fenomeno del piumaggio degli uccelli e scrive che le penne del pavone e il tessuto di seta (dove il verde è mescolato con il rosso scuro) cambiano colore quando sono viste in momenti diversi del giorno, a seconda di come la luce li colpisce.
L’arcobaleno lo induce, forse per primo, a fare esperimenti sulla dispersione dei colori con sfere piene di acqua. In tal modo vede che i raggi di luce che attraversano la sfera vengono rifratti secondo angoli misurabili e si rende conto che ogni raggio viene rifratto con un determinato angolo e produce un determinato colore con una corrispondenza biunivoca. Conclude quindi che l’arcobaleno non funziona per riflessione come pensava Aristotele ma per rifrazione.
Pare inoltre che abbia trovato che la luce è una mescolanza di vari colori usando la ruota di Tolomeo (ma considerava solo la chiarezza del colore). Alhacen conosce sicuramente Tolomeo.
Averroè e la teoria aristotelica della visione
La teoria aristotelica della visione sostenuta e parzialmente emendata da Avicenna viene ulteriormente sostenuta da Averroè, 41 uno dei maggiori commentatori islamici di Aristotele e il massimo esponente della cultura arabo-ispanica che fiorì in Andalusia tra il VII e il XII secolo in pacifica coesistenza con la cultura cristiana ed ebraica. Averroè, filosofo e medico, ha scritto circa 80 opere ed è celebre in particolare per il suo Grande Commento relativo alla Fisica, alla Metafisica e al libro Dell’anima. Viene considerato colui che insegna ai latini il pensiero di Aristotele, introducendoli alle parti più complesse del Corpus Aristotelicum. Dante lo cita nel IV canto dell’Inferno tra le anime dei grandi uomini non cristiani: “Averoìs che ’l gran comento feo” e Raffaello lo dipinge nell’affresco La scuola di Atene. In particolare il lungo commento a Dell’anima, in cui il testo di Aristotele è riprodotto per intero e commentato passo per passo, tradotto in latino attorno al 1220-1235, riflette la posizione di Averroè sulla natura dell’intelletto e il commento a Del senso e dei sensibili riporta il suo pensiero sulla natura del colore.
Averroè cerca di avvicinare taluni aspetti dell’ortodossia musulmana all’aristotelismo rispondendo alle critiche che erano state avanzate alla interpretazione di Avicenna, che secondo Averroè aveva distorto il pensiero aristotelico. 42 Per Averroè “la dottrina di Aristotele coincide con la verità” e “nessuno ha potuto aggiungere a quello che egli ha detto nulla che sia degno di nota”. E il pensiero di Aristotele non è in contraddizione con l’islam, anzi, la stessa verità può essere raggiunta percorrendo due strade diverse: quella religiosa e quella filosofica.
Averroè continua ad usare il termine intentio per denominare gli oggetti delle facoltà cogitativa e di memoria, anche se rigetterà la facoltà estimativa negli animali. Le forme sono composte dalle intenzioni.
Averroè distingue tra esistenza spirituale ed esistenza corporea della luce e dei colori: nell’anima questi hanno un’esistenza spirituale, nei corpi trasparenti un’esistenza intermedia tra la spirituale e la corporea. Il compendio di Del senso e dei sensibili contiene la sua teoria della visione che si riassume così: l’occhio recepisce le forme degli oggetti e le trasmette al sensus communis attraverso la retina e i due nervi ottici:
…Noi affermiamo che l’aria, per mezzo della luce, riceve per prima le forme degli oggetti e la trasmette poi sulla parte più esterna della sclera. Questa membrana la trasmette alle altre membrane, finché il movimento non raggiunge la più interna membrana, dove si trova il sensus communis. Quest’ultimo percepisce la forma dell’oggetto.
Anche sul colore Averroè segue Aristotele e ammette che tutti i colori sono generati dalla mescolanza di bianco e di nero, e poiché le proporzioni sono infinite, anche i colori sono in numero infinito:
…Poiché i restanti colori derivano da bianco e nero, e la loro mescolanza si diversifica più o meno in infinite specie … segue che i colori in natura sono di una infinita varietà. 43
Il recupero della tradizione aristotelica in Europa che porrà le basi per la Scolastica medievale deve moltissimo alla traduzione in latino degli scritti di Averroè, iniziata nella prima metà del XIII secolo. Mentre nelle facoltà di arti si identificava la filosofia di Averroè con quella di Aristotele e quest’ultima con la verità filosofica, l’averroismo (cioè l’interpretazione di Aristotele data da Averroè) sarà inizialmente osteggiato nelle facoltà di teologia.
La filosofia islamica in Spagna finisce con Averroè e nel resto del mondo islamico una rigida ortodossia pone fine alla ricerca filosofica. 44
Note
1 Nestorio (ca 381-451) sosteneva la presenza in Cristo di due persone (il dio e l’uomo), unite dal punto di vista “morale” più che sostanziale. Di conseguenza, negava a Maria l’appellativo di “madre di Dio” (theotokos) perché genitrice della sola persona del Cristo uomo.
3 L’odierno Iraq contiene una parte dell’antica Mesopotamia, la regione tra i fiumi Tigri e Eufrate.
4 Jim Al-Khalili La casa della saggezza Bollati Boringhieri 2003.
5 Al-Kindi (ca 800-873) è nato a Bazra (oggi Bàssora in Iraq) e vissuto prima a Kufa, una città sul fiume Eufrate e successivamente a Bagdad, dove è morto..
6 Peter Adamson Al-Kindi Oxford University Press 2007.
7 E. Kheirandish “The Arabic ‘Version’ of Euclidean Optics: Transformations as Linguistic Problems in Transmission” in Tradition, Transmission, Transformation Brill 1996, a cura di F. Jamil Ragep, Sally P. Ragep.
8 David C. Lindberg “Alkindi’s Critique of Euclid’s Theory of Vision” Isis 62 4 1971, pag. 469-489; Peter Adamson “Vision, Light And Color in Al-Kindi, Ptolemy and the Ancient Commentators” Arabic Sciences and Philosophy 16 2006, pag. 207–236.
9 David C. Lindberg “Alkindi’s Critique of Euclid’s Theory of Vision” Isis 62 4 1971, pag. 469-489.
10 [Al-Kindi Radiis] III.
11 Graziella Federici Vescovini Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo Morlacchi 2003.
12 Benedek Láng Unlocked Books: Manuscripts of Learned Magic in the Medieval Libraries of Central Europe Pennsylvania State University 2008, pag. 23.
13 [Al-Kindi Radiis] II.
14 Peter Adamson “Vision, Light and Color in al-Kindi, Ptolemy and the Ancient Commentators” Arabic Science and Philosophy 16 2006, pag. 207-236.
15 Hunain ibn Ishaq (809-877) è nato a Hira ed ha lavorato prima a Gondishapur e poi a Bagdad, tarducendo una grande quantità di libri.
16 [Lindberg Optics].
17 Ahmed Djebbar, Storia della scienza araba Cortina 2002, pag. 235.
18 Ibn Sinā (980-1037, latinizzato Avicenna) è nato a Afshana, una piccola città della Persia oggi in Uzbekistan, e morto a Hamadan oggi in Iran. Autore di circa 130 opere scritte in persiano e in arabo, è stato una delle figure più note nel mondo islamico della sua epoca, come medico e come filosofo. Dante (che probabilmente ha conosciuto il pensiero di Avicenna attraverso Alberto Magno e Tommaso d’Aquino) lo pone assieme ad Averroè nel Limbo (il primo cerchio dell’inferno) tra gli uomini giusti che morirono prima della venuta di Cristo. Nel 1980 l’Unesco ha celebrato il 1000º anniversario della sua nascita con l’emissione di una medaglia.
19 Il Libro della guarigione, il cui titolo arabo è Kitab Al-Shifa’, non è un libro di medicina, e la guarigione è intesa nel senso di cura dell’ignoranza dell’anima. Lo studio della sensazione è compreso nella parte psicologica del libro, anche nota come De Anima.
20 Per questo e il successivo paragrafo seguo “Avicenna e la teoria della sensazione visiva” in [Federici-Vescovini].
22 Avicenna dà una breve descizione dei sensi interni in De anima I 5, quindi ogni senso viene trattato più diffusamente in De anima IV 1-3.
23 Per la teoria della luce e della visione di Avicenna seguo il capitolo 4 “Soul and the Senses” di Jon McGinnis Avicenna Oxford University Press 2010 e “Avicenna e la teoria della sensazione visiva” in Le teorie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo di Graziella Federici Vescovini, Morlacchi 2003.
24 Yael Raizman-Kedar “Plotinus’s conception of unity and multiplicity as the root to the medieval distinction between lux and lumen” Stud. Hist. Phil. Sci. 37 2006, pag. 381, nota 6.
25 Hossein Masoumi Hamedani “La civiltà islamica: teoria fisica, metodo sperimentale e conoscenza approssimata. Ibn al-Haytam e la nuova fisica” in Storia della scienza Treccani 2002.
26 Nel Convivio III 14 5 Dante precisa “Ma però che qui è fatta menzione di luce e splendore, a perfetto intendimento mostrerò differenza di questi vocaboli, secondo che Avicenna sente. Dico che l’usanza de’ filosofi è di chiamare luce [lux] lo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio; di chiamare raggio [lumen], in quanto esso è per lo mezzo, dal principio al primo corpo dove si termina; di chiamare splendore [radiositas] in quanto esso è in altra parte illuminata ripercosso.” Si veda anche Gianpiero W. Doebler “Non mi può far ombra: le distinzioni tra luce e lume nelle Rime di Dante” Tenzone 7, 2006.
27 Per la distinzione tra lux e lumen si veda anche Vasco Ronchi “De Luce et De Lumine” Physis VIII I 1966, pag. 5-22.
28 Per esempio, come fa notare V. Ronchi, il titolo del IV libro del De Subtilitate di Gerolamo Cardano (1551) è De luce et de lumine dando per scontato che si tratti di due cose diverse.
29 Vincenzo de Beauvais Speculum majus, prima parte “Speculum naturale”, libro II, C. LVI.
30 Kirchner, Bagheri “Color theory in medieval islamic lapidaries” Centaurus 2012.
31 Ibn al-Haytham (ca 985-1038, latinizzato Alhacen, Alhazen, Avenatan) è contemporaneo di Avicenna (ma pare che i due che non si conoscessero e che nessuno adei due vesse letto le opere dell’altro), è matematico, astronomo e medico. È stato uno dei più grandi scienziati del suo tempo, con molteplici interessi nei campi della fisica, matematica, medicina, filosofia, astronomia. Nato a Bazra (oggi Bàssora) si trasferisce ancora giovane in Egitto dove morirà al Cairo.
33 Vedi “Perspectivorum libri X di Witelo” a pag. 225 e “L’ottica e l’anatomia rinascimentale” a pag. 258.
34 Per la teoria della visione di Alhacen mi baso sull’edizione critica della traduzione latina dei primi tre libri di De aspectibus fatta A. Mark Smith Alhacen’s Theory of Visual Perception American Philosophical Society 2001 con l’annessa introduzione e traduzione in inglese.
35 Versione latina di A. Mark Smith Alhacen’s Theory of Visual Perception 4.1.
36 “…quando spesso non possiamo affisarci nei corpi splendenti perché i nostri occhi sono abbagliati da quell’eccesso di luce” Lucrezio De rerum natura III 363-364.
37 Maurizio Mamiani Storia della scienza moderna Laterza 1998, pag. 40.
38 A. Mark Smith Alhacen’s Theory of Visual Perception 2001, vol. 2, pag. 395, nota 2; dello stesso autore From sight to light 2004, pag. 183.
39 Abdelhamid I. Sabra The Optics of Ibn Al-Haytham volumes I and II 1989 The Warburg Institute 1989, I pag. 89.
40 Fred Kingdom “Simultaneous contrast: the legacies of Hering and Helmholtz” Perception 26 1997.
41 Ibn Rushd, latinizzato Averroè (1126-1198) è nato in una famiglia di giuristi a Cordova allora capitale dell’Andalusia (al-Andalus) la parte meridionale della penisola iberica, allora islamica. Nel 1195, accusato di abbandonare la fede islamica per la filosofia pagana viene esiliato in Marocco a Marrakech dove muore a 72 anni.
42 Averroè ha avuto nell’incontro tra mondo islamico e filosofia greca lo stesso ruolo che il suo concittadino e quasi contemporaneo Maimonide (1138-1204) ha avuto nell’incontro tra il mondo ebraico e la classicità greca.
43 H. Blumberg Averroes Epitome of Parva Naturalia Medieval Academy of America 1961.
44 [Russell].