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Introduzione alla gestione digitale del coloreGestione del colore e correzione del colore
Cos’è la riproduzione del colore
Il colore, pur essendo una sensazione, ha una esistenza oggettiva, dunque si può misurare, e dunque si può cercare di riprodurlo (cioè di ripeterlo in modo che dia la stessa sensazione dell’originale).
La riproduzione del colore ha come obiettivo ripetere, riprodurre il colore di un originale così com’è. E in quanto tale, la riproduzione è buona, è venuta bene, se il colore riprodotto è uguale a quello originale; non è buona, non è venuta bene, se il colore riprodotto è diverso dal colore originale.
Detto così sembra tutto molto semplice, ma guardando le cose meno superficialmente si vede che la questione è un po’ più complicata perché ci sono diversi modi di intendere quel “così com’è” e dunque diversi modi per controllare se una riproduzione è venuta “uguale” o “diversa” dall’originale.
The Reproduction of Colour è un libro di circa 600 pagine scritto da uno scienziato del colore, l’inglese Robert Hunt. In questo libro l’autore tratta in modo approfondito tutti i sensi di quel “così com’è”. Per esempio il colore può essere riprodotto spettralmente (cosa rara, ma si otterrebbe una riproduzione esatta sotto ogni illuminante), oppure colorimetricamente (ma allora va specificato l’osservatore e l’illuminante), oppure in altri modi tutti elencati da Hunt.
La gestione digitale del colore secondo le specifiche ICC è un sistema che usa alcuni di questi modi per riprodurre il colore. La gestione del colore secondo PostScript (PCM, PostScript color management) è un altro sistema per riprodurre il colore usando altre modalità.
La riproduzione del colore è un processo oggettivo, una disciplina scientifica che si basa sulla scienza del colore (non si chiama “teoria del colore”, così come la scienza della matematica non si chiama “teoria della matematica” e le scienze biologiche non si chiamano “teoria della biologia”). La differenza tra un originale e una sua riproduzione si può esprimere numericamente in una unità di misura che si chiama deltaE.
La gestione digitale del colore ha come obiettivo la riproduzione del colore, ma tiene conto anche del fatto che, in casi particolari, può non essere possibile raggiungere completamente tale obiettivo. Per esempio è possibile che un certo colore stampato non sia riproducibile su un determinato monitor. In casi come questo la gestione del colore prende in considerazione l’idea di rimpiazzare il colore non esattamente riproducibile con un altro colore sostitutivo scelto con qualche criterio (i vari criteri disponibili si chiamano “intenti di rendering”).
In definitiva ci sono diversi modi per eseguire una riproduzione, e per giudicare se è venuta bene oppure no. L’obiettivo è sempre quello di riprodurre il colore così com’è (dopo aver specificato quale variante di “così com’è” decidiamo di considerare).
Cos’è la correzione del colore
La correzione del colore è una tecnica che non si pone come primo obiettivo la riproduzione del colore (altrimenti sarebbe la disciplina che ho indicato qui sopra). Si pone invece come obiettivo il miglioramento di una immagine, inteso come “rendere l’immagine più bella” ma uscendo un po’ dalla banalità inteso come “rendere l’immagine verosimile” o “credibile” o simile alla nostra idea platonica di quella cosa, oppure come è stato scritto correttamente “rendere l’immagine simile a ciò che avremmo visto se fossimo stati lì”. Perfetto. Da cui si deduce che lì non eravamo e che quindi non abbiamo la possibilità di fare una “riproduzione” del colore che, per definizione, richiede due cose: (a) un originale e (b) la copia riprodotta. In questo caso ne abbiamo solo una, perché l’originale manca.
Nelle parole di chi la pratica, la correzione del colore ha diversi obiettivi: rendere una immagine migliore, piacevole, verosimile, attraente, credibile, bella. Ha a che fare con l’estetica, con l’arte, con la verosimiglianza (non con il vero, quella è la riproduzione del colore). Probabilmente non deve “stravolgere la natura di una foto” come ho sentito dire. Va bene. Ho sentito anche che non deve “snaturare la realtà”, ma la realtà c’è solo se esiste un originale. Altrimenti è una realtà “immaginata”, che va comunque benissimo. Ho sentito anche che deve essere una rappresentazione “molto simile alla realtà, ma che ne esalti la bellezza”. Ottimo anche questo (per quanto mi sembri un ossimoro). Ma nulla di tutto ciò ha a che fare con la riproduzione del colore come definita più sopra.
Queste diverse descrizioni (e i vari contest che si vedono online) sottolineano che si tratta di un processo soggettivo. Il risultato di una certa correzione a qualcuno può piacere, a qualcun’altro può non piacere, vorrebbe una immagine meno contrastata, più chiara, meno sfocata, più satura e così via. Se non conosciamo l’originale possiamo solo dire come ci piacerebbe che fosse, cioè possiamo parlare della nostra idea di bello e brutto (o di naturale e innaturale, o di reale e irreale, di verosimile o inverosimile). Della nostra idea, non dell’originale.
Certo che se dovessi comperare una cartolina da spedire a un amico probabilmente gradirei una immagine che è stata “corretta” e che io soggettivamente giudico di bell’aspetto. Magari l’originale (se è mai esistito) è poco attraente, è inespressivo, privo di personalità, più monotono. Non giudico la riproduzione la cosa giusta, corretta da fare e la correzione la cosa scorretta. Hanno entrambe la loro dignità, ma sono cose diverse, che perseguono obiettivi diversi. Certo non sono due filosofie diverse per perseguire la stessa cosa (ho letto anche questo).
Proprio perché affine all’estetica, all’arte, al verosimile, la correzione del colore (che una volta si chiamava fotoritocco) è un insieme di raffinate ricette digitali (contrastare, saturare, schiarire, evidenziare, eliminare) basate sulla pratica e su alcune linee guida, ma non basate su alcuna scienza, su nessuna teoria scientifica accettata. Proprio per questo motivo non si può dire che la correzione colore sia una “disciplina” (che secondo la Treccani è un nome da riservare agli studi che vengono “condotti con rigore scientifico”).
Riproduzione del colore o correzione del colore?
Sono cose diverse ma vanno usate entrambe. In un flusso di lavoro, la gestione del colore va fatta sempre, in modo da vedere l’immagine sempre uguale su un monitor, su un altro monitor, su una stampante, su un’altra stampante. Non è possibile andare avanti con il lavoro se su un monitor l’immagine la vedo rossa e su un altro la vedo verde.
Nel caso di riproduzione di opere d’arte (un quadro di Picasso) ci si ferma alla riproduzione del colore, non si possono modificare i colori di Picasso né tantomeno cercare di “migliorarli”. La stessa situazione si presenta quando si devono riprodurre i colori di abiti, camicie, scarpe, borsette che vengono vendute online. Il cliente che ordina una maglietta vuole che arrivi proprio di quel colore che ha visto sul sito. Lo stesso vale per il logo di una marca (il blu delle scatole Barilla deve essere esattamente quel blu). E per la fotografia medica di un impianto dentale. Il paziente non sarà contento se gli viene fatta vedere la fotografia di un impianto di un certo colore e poi si trova in bocca altri colori. Oppure per la fotografia scientifica nel luogo di un delitto dove c’è sangue, fango, materiali diversi. In tutti questi casi la correzione colore non è solo inutile ma è dannosa.
In molti altri casi in cui non è richiesta la riproduzione esatta, dopo la gestione del colore si lavora sull’estetica (o sulla verosimiglianza, credibilità, piacevolezza) usando le tecniche della correzione del colore.
Per concludere, “gestione” e “correzione” sono cose diverse non solo per i motivi detti, ma anche per gli strumenti che utilizzano: la gestione del colore fa uso di strumenti come i profili, gli intenti di rendering, le conversioni; la correzione del colore fa uso di strumenti come le curve, i livelli, i canali, le regolazioni. Le due cose non vanno confuse e non vanno usati gli strumenti dell’una per l’altra. Per esempio non è corretto usare un profilo colore ICC per migliorare o comunque modificare l’aspetto di una immagine. È come voler piantare un chiodo con una tenaglia: l’abbiamo fatto tutti qualche volta, ma non è lo strumento giusto per quell’operazione.
Aggiornato 18 settembre 2013, 26 gennaio 2015 e 4 agosto 2018.